sabato 9 maggio 2009

LA LINGUA DELL'ALTRO (e l'altra...)

Riceviamo e pubblichiamo volentieri:

PER UNA LIBERTÀ DI PAROLA OLTRE L'INCULTURA DELLA POLITICA CORRENTE

Sabato 16 maggio 2009
Università di Verona
Palazzo di Lingue, aula 2.6
Via San Francesco
Mattino ore 10 - 13 pomeriggio 15 -18

Il mondo è cambiato: le donne sono uscite dal loro silenzio secolare e partecipano alla vita della lingua a tutti i livelli, non solo nella educazione dei figli, come hanno fatto da sempre, ma anche nella professione, nel lavoro del pensiero e soprattutto nella letteratura. Noi crediamo che da questo coinvolgimento femminile nelle pratiche linguistiche si delinei un terreno nuovo di rapporto con la lingua, che racchiude la promessa di risposte inedite nel difficile passaggio storico che stiamo attraversando.
Mentre nella società, tra donne e uomini, anche di diverse generazioni e culture, si intensificano gli scambi vivi, non segnati dalla logica patriarcale della riduzione a uno, il discorso pubblico corrente, veicolato soprattutto dai giornali e dalla televisione, appare spesso dominato da una logica binaria e oppositiva. Alla realtà che cambia viene offerto uno specchio deformante che la restituisce alterata, si formano così schieramenti statici, fra loro contrapposti, che non danno parola al mutamento e tanto meno lo orientano.
In questo modo viene semplificata brutalmente la complessità delle trasformazioni in atto nella società, provocando in noi, di volta in volta, un senso di irrealtà o di fastidio o di rassegnazione e impotenza. E rendendoci difficile il dare credito a ciò che ascoltiamo, ma anche, in una sorta di processo di straniamento, a ciò che noi stessi diciamo.
Di fronte allo scollamento sempre più evidente tra il flusso continuo di parole che invade lo spazio pubblico e la concreta, quotidiana esperienza delle nostre vite, proponiamo di tornare a riflettere sul linguaggio oggi. Non una riflessione specialistica, bensì una riflessione spontanea e politica, a cui chiamiamo sia chi di lingua si occupa per mestiere, sia comuni parlanti, donne e uomini, che alla lingua si appassionano perché ne sanno la forza trasformatrice. Nell'ipotesi che proprio da questo intreccio possano scaturire parole oneste e necessarie e un punto di vista più ampio sulla comunicazione, di cui la lingua è solo una parte. Ci sono anche le immagini, i modi, le pratiche, le pragmatiche.
Si aprono domande importanti:
Come tornare a vedere nella lingua un luogo di senso e di libertà in cui ciascuno e ciascuna possano esprimersi senza tradire la sostanza del proprio vissuto?
Che posto facciamo all'altro e a ciò che non abbiamo messo in conto?
A quali condizioni e con quali ostacoli si può agire una libertà di parola che vada oltre l'incultura politica corrente?
Come salvaguardare nei nostri discorsi (in una società sempre più ricca di storie, lingue e culture diverse) la presenza dell'alterità con i suoi aspetti vitali e perturbanti allo stesso tempo?
A queste e ad altre domande vorremmo provare a rispondere insieme, partendo dalle nostre personali esperienze e dal nostro sapere, con la consapevolezza che i mutamenti più profondi di una civiltà sono quelli messi in atto dalla gente comune, tramite quell'intreccio multiforme di relazioni che costituisce lo spazio pubblico. Quello vero.

Gruppo di riflessione La lingua dell'altro
Redazione di Per amore del mondo, rivista on line di Diotima

floreana

venerdì 1 maggio 2009

Lo sviluppo delle bambine e dei bambini


A testimonianza dell'interesse che in altri Paesi si rivolge al tema della rappresentatività di genere nei linguaggi, riproduciamo alcune foto tratte da M. Sheridan "Dalla nascita ai cinque anni. Le tappe fondamentali dello sviluppo" (2009).

Notiamo che:
1. nelle figure, ci sono bambine e bambini

2. spesso, fanno azioni simili; non ci sono connotazioni di genere delle azioni

3. la rappresentatività va (coerentemente) oltre questo primo aspetto:

a. sono raffigurati sia madri che padri;


b. sono raffigurate etnie varie





postato da j.

Una tesi di laurea sulle formulazioni 'neutre'

Riceviamo e pubblichiamo volentieri.

La mia tesi, intitolata “Pregiudizi e stereotipi sessisti e razziali. Una verifica sperimentale attraverso la lettura di articoli di cronaca”, si propone di analizzare gli stereotipi, razziali e sessisti, e di verificarne la presenza in un gruppo di soggetti, tramite un’indagine sperimentale.

Dopo un’introduzione teorica, ho cercato di creare una metodologia che permettesse di valutare l’eventuale presenza di stereotipi nel corso della lettura di articoli di cronaca e il ruolo del linguaggio nel veicolarli.

Metodologia
Lo studio è stato condotto grazie alla collaborazione di 40 persone, di cui 20 donne e 20 uomini, in possesso di diploma di scuola superiore, di un’età media di trentatre anni per gli uomini e trentanove per le donne, di nazionalità italiana ed esercitanti tutti la stessa professione (impiegati nella pubblica amministrazione). Queste persone sono state scelte con l’obiettivo di avere un campione omogeneo per estrazione sociale e culturale. La ricerca si è svolta nel mese di gennaio 2009 a Milano.

In questa sede, descriverò soltanto la parte del mio lavoro relativa allo studio dei pregiudizi sessisti.

Ho scelto un articolo recente (fonte: Corriere della Sera. 19 dicembre 2008 http://archiviostorico.corriere.it/2008/dicembre/19.shtml), in cui si descrive una nuova tecnica neurochirurgica sperimentata da due medici, una donna e un uomo. Il mio scopo era di indagare gli stereotipi professionali di genere, cioè valutare l’eventuale presenza di pregiudizi legati al sesso dei protagonisti in rapporto alla professione in esame e al tipo di scelte linguistiche adottate nell’articolo.

I due medici protagonisti, infatti, sono una donna e un uomo, ma, nell’articolo originale, l’unico indizio che permetta l’identificazione del sesso dei due protagonisti è il nome personale, citato tra l’altro una sola volta, di passaggio, in una tipologia di testo che di solito viene letta molto cursoriamente; in tutto il resto dell’articolo viene utilizzato il maschile plurale generico, come illustro di seguito:

1. unica citazione dei nomi per esteso, da cui si può inferire il sesso dei protagonisti: “l’equipe medica guidata dai neurochirurghi Sergio Canavero e Barbara Massa Micon…”;

2. tipologia delle altre strategie referenziali: “l’annuncio dato ieri mattina da Canavero e Massa Micon…”; “i chirurghi”, “i due neurochirurghi Canavero e Massa Micon”, “i neurochirurghi torinesi”

Per quanto l’uso del maschile generico sia previsto e legittimato dalla grammatica, la letteratura di genere lo critica perché non rende identificabile il genere e ‘nasconde’ le donne dietro un uso del linguaggio che è retaggio di una cultura maschilista.

Il testo dell’articolo è stato, dunque, modificato eliminando la citazione per esteso dei nomi, ma lasciando invariato tutto il resto, per valutare se il maschile plurale generico potesse far ipotizzare, alle lettrici e ai lettori da me coinvolti nel progetto, la presenza di una protagonista femminile. Ipotizziamo, per non averla ancora sperimentalmente verificata, che la strategia comune prevede, in qualche modo, l’esplicita citazione della donna eventualmente presente in un gruppo cui ci si riferisce attraverso il maschile plurale generico. E’ anche vero, tuttavia, che si trovano anche diciture maschili, in alcune tipologie di testi, che non prevedono ulteriori specificazioni (dal medico, i bambini, gli studenti).

Abbiamo suddiviso i partecipanti in due gruppi di 20 persone ognuno (di cui 10 donne e 10 uomini). Ai due gruppi sono stati richiesti due compiti diversi, da eseguire dopo la lettura dell’articolo:

  1. un gruppo doveva completare una scheda anagrafica sui protagonisti degli eventi, inventando i dati mancanti, ma in modo compatibile con quanto esplicitamente emerso dagli articoli (I dati da inserire erano: età; nazionalità; sesso; professione).

  2. l’altro gruppo, doveva associare, ad ogni personaggio descritto nell’articolo, un volto tra quelli proposti attraverso una serie di fotografie, di donne e uomini, compatibili con i profili dei protagonisti (ho mostrato cinque fotografie di medici di sesso femminile e cinque di medici di sesso maschile, tutti ritratti con il camice bianco). In questo caso, mostrando le fotografie, ai soggetti veniva dato indirettamente un “suggerimento” sul sesso dei medici dell’articolo e quindi un dato particolarmente sensibile ai fini della ricerca. Lo scopo di questo secondo esperimento era vedere se, stimolati dalle informazioni in più fornite indirettamente attraverso le fotografie, i soggetti facevano scelte diverse rispetto ai soggetti del primo esperimento.

Finalità dello studio
Mi sono chiesto:

  1. l’uso del maschile generico è davvero tale? Cioè impedisce o meno l’ipotesi, da parte delle lettrici e dei lettori, che dietro la forma maschile siano presenti protagoniste femminili?

  2. Le lettrici o i lettori si comportano diversamente di fronte all’interpretazione del maschile generico?

  3. La presenza di immagini di probabili protagoniste e protagonisti influenza, e in che direzione, le scelte delle persone intervistate?

  4. Le statistiche sono alla base dell’interpretazione data dalla maggioranza delle persone intervistate?

Esiti dello studio
Le risposte date sono riassunte di seguito:

  1. senza vedere le foto, il 95% delle donne e il 95% degli uomini ha risposto che entrambi i medici erano uomini; soltanto, dunque, una minima percentuale, pari al 5%, sia tra le donne che tra gli uomini, ha detto che uno dei due medici poteva essere una donna;

  2. la percentuale è cambiata mostrando le foto: in questo caso, il 40% delle donne e il 20% degli uomini ha risposto che tra i dei due medici poteva esserci una donna;

  3. la differenza tra partecipanti donne e partecipanti uomini del fornire le risposte, è emersa dunque solo nel secondo esperimento.

Proposte di analisi dei dati emersi
Nell’articolo originale non ci sono indicazioni sull’età dei due neurochirurghi (Sergio Canavero ha 44 anni, Barbara Massa Micon 39, fonte:
www.edizioniclandestine.com/autori/canavero.htm), tuttavia, da altre indicazioni del testo, i venti soggetti che hanno completato la scheda anagrafica, hanno attribuito ai medici un’età media di 44 anni (43 anni la media delle risposte dei dieci soggetti maschili, 45 anni la media delle risposte dei dieci soggetti femminili).

Le statistiche dicono che ad essersi iscritte nel 2008 al primo anno delle facoltà di medicina italiane sono 4317 donne su un totale di 7673 studenti: 56 su 100, la maggioranza. Se si considerano le persone in attività in ambito chirurgico, divise per fasce di età, si nota che:

    • tra i 25 e i 29 anni la percentuale delle donne è del 63,4%

    • tra i 30 e i 34 anni del 59,6%

    • tra i 35 e i 39 del 51,9%.

Il calcolo dettagliato fa parte di una relazione di Maurizio Benato, vicepresidente Fnomceo, la federazione che riunisce tutti gli Ordini dei medici d’Italia (fonte: www.medicinaepersona.org/articolo/300608.pdf).

Le riflessioni che ho tratto dagli esiti delle interviste, riguardo all’uso del maschile generico nel caso della professionalità e del testo esaminati, sono i seguenti:

  1. di fronte all’uso del maschile generico, nel primo tipo di compito, solo il 5% degli uomini e 5% delle donne ipotizza la presenza di una donna;

  2. con l’ausilio delle foto, soprattutto tra le donne è aumentata la percentuale delle persone che ipotizzavano fosse coinvolta una donna (40%);

  3. per quanto riguarda l’immaginario collettivo, sembra esserci un condizionamento non motivato dalle statistiche, almeno per quanto riguarda la fascia d’età coinvolta nell’articolo utilizzato per l’esperimento.

Conclusioni
La conclusione che si può trarre è dunque che, come consigliava già la linguista Alma Sabatini, e con lei le altre studiose e gli altri studiosi, l’uso del maschile generico è sconsigliato.

Il mio contributo credo dimostri che questa attenzione all’uso del linguaggio non sia motivata solo da ragioni ideologiche di una (legittima) richiesta di parità linguistica, ma anche dal fatto che, alla prova dei fatti, il maschile non viene elaborato dai lettori come ‘generico’ cioè inclusivo anche delle donne, ma, almeno nel caso da noi esaminato, come un maschile tout court.

Studi ulteriori
Altre prove sperimentali, come quelle che riassumo di seguito, potrebbero ulteriormente approfondire questo risultato, permettendoci conclusioni e generalizzazioni più forti:

  1. confrontare le risposte qui discusse con quelle fornite dalle lettrici e dai lettori dell’articolo originale (in cui la specificazione di genere compare, ma una sola volta e attraverso la citazione del nome proprio);

  2. studiare gli effetti, nei lettori e nelle lettrici, dell’uso del maschile generico, singolare e plurale, nei testi in cui questo è normalmente in uso senza mai essere sottospecificato (‘gli studenti, ‘dal ginecologo’, ‘il tuo bambino’, ‘io bimbo’, etc.);

  3. studiare gli effetti di strategie alternative più esplicite e informative in relazione anche alle diverse tipologie di lettura dei diversi tipi di testo (ad es. “l’equipe medica guidata dai due neurochirurghi, un uomo e una donna, Sergio Canavero e Barbara Massa Micon…”).

Spero che la lettura di questo breve resoconto della mia tesi sia di vostro interesse e che possiamo stabilire un confronto per approfondire il discorso sulle verifiche sperimentali del ‘sessismo linguistico’ e sulle proposte di ‘cambiamento’ dell’uso linguistico, ove necessario e nella direzione più funzionale.

Chi fosse interessata/o ad altre informazioni o avesse suggerimenti e discussioni, mi trova all’indirizzo mail :

pierzh@email.it

Pierpaolo