mercoledì 28 aprile 2010

corriere della sera: la lettera del giorno 20/03/2010

Riceviamo e pubblichiamo volentieri: e voi che ne pensate??

La lettera del giorno |Sabato 20 Marzo 2010 (Corriere della Sera)

I MESTIERI AL FEMMINILE E LA SCELTA DELLE DONNE
Anni fa il ministero delle Pari opportunità finanziò uno studio linguistico (che ebbe alla fine il brutto titolo di «Il sessismo nella lingua italiana»), opera di linguisti e studiosi accreditati, che dimostrava come l’italiano ­al pari del tedesco, dico io ­abbia la possibilità di creare le forme femminili per tutte le professioni tradizionalmente maschili e spiegava anche come farlo e quali forme siano da evitare perché ironiche o spregiative: le forme in «essa», per intenderci, a parte dottoressa e professoressa, ormai entrate nell’uso comune. Perciò: la presidente, l’avvocata (ricorda il Salve Regina), la soldata ecc. E anche la ministra, sissignori! L’uso delle forme maschili soprattutto per le cariche importanti mi sembra un tranello per le femministe che confondono la parità di diritti con l’uguaglianza: non siamo uguali, per fortuna! Tant’è vero che tutti dicono «il direttore dell’Unità Concita De Gregorio», ma «la direttrice dell’asilo Mariuccia Carla Rossi». Perché? Perché un direttore di giornale è importante e dunque maschile, mentre dirigere un asilo di poppanti è roba da donne, anzi da donnette?

Luciana Tomelleri

Cara Signora, quando Susanna Agnelli fu eletta al Senato, volle essere chiamata senatore, non senatrice. Quando divenne sottosegretario non volle essere chiamata sottosegretaria. E quando fu invitata a dirigere il ministero degli Affari Esteri nel governo Dini del 1995-1996, volle essere ministro, non ministra. Non ho mai assistito a una seduta del Consiglio comunale di Monte Argentario, ma sono sicuro che se qualcuno l’avesse chiamata sindaca o sindachessa, si sarebbe arrabbiata. La sua scelta mi sembrò giusta per due ragioni. In primo luogo perché i nomi dei mestieri e delle professioni sono diventati in molti casi sostanzialmente neutri. In secondo luogo perché certi adattamenti al femminile mi sono sempre sembrati terribilmente cacofonici. Ma vi è nella sua lettera una osservazione che mi è parsa particolarmente interessante. Mentre alcuni mestieri sono stati sempre definiti con un nome maschile, per altri è stato rapidamente coniato anche un nome femminile. Penso a maestra, professoressa, dottoressa, direttrice, ambasciatrice, presidentessa, studentessa, alunna, commessa, segretaria, cassiera, venditrice, cameriera, cuoca, operatrice, infermiera. Non è impossibile quindi creare per ogni mestiere o professione un nome di genere femminile. Ma questo avviene generalmente soprattutto quando la donna è chiamata a svolgere una funzione «femminile». Finché dirige asili, cura malati, serve a tavola, prepara piatti in cucina, insegna agli allievi di una scuola o sta seduta dietro un registratore di cassa, la donna ha diritto a un appellativo femminile. Finché il femminile definisce il suo statuto di moglie, niente vieta l’uso di ambasciatrice o presidentessa. Ma quando la professione ha tradizioni maschili, gli uomini preferiscono che la loro collega venga chiamata notaio, avvocato, amministratore delegato, prefetto, deputato, senatore. E qualche donna, come abbiamo visto nel caso di Susanna Agnelli, sta al gioco. Evidentemente questo non è giusto. Se la regola vale per alcuni mestieri deve valere anche per gli altri. Ma in ultima analisi, cara Signora, la scelta spetta alle donne, le quali, in questo momento, mi sembrano oscillare fra soluzioni diverse. Per quanto mi riguarda io sono pronto a usare la parola che maggiormente risponde ai loro gusti, anche quando offende il mio orecchio. ©
SERGIO ROMANO

2 commenti:

  1. possiamo fare un esercizio e vedere su quante opinioni di sergio romano non siamo d'accordo.
    1. se susanna agnelli voleva essere chiamata con nomi da uomo, tanti anni fa e con il suo bagaglio culturale, questo non ci dice che facesse bene per definizione.
    2. sergio romano sostiene che i nomi di mestieri al maschili sono neutri, ma si contraddice immediatamente perché ammette che lo sono solo quelli che indicano professioni "alte" che egli definisce tipicamente maschili ed ammette che questo non è giusto. Sembra quindi tornare sull'affermazione precedente.
    3 E invece no, lascia alle donne come susanna agnelli e non a quelle come Luciana Tomelleri, ma anche Palombelli, che si faceva chiamare ministra, o ad altre.
    Dobbiamo concludere che alcune donne, quelle che hanno la sua opinione sono migliori di altre?

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  2. Sono d'accordo con Sergio Romano. Il linguaggio cambia nell'uso corrente, per effetto della storia individuale e collettiva, non dovrebbe cambiare per legge e per ideologia.
    Un esempio ineressante è l'uso del tu, del voi e del lei nell'italiano standard e non negli ultimi cento anni. Indipendentemente dalle leggi (durante il fascismo) o indipendentemente dall'uso nell'italiano standard dagli anni Settanta in poi, il voi sopravvive, nel centro Italia nei piccoli centri e nel sud dappertutto.
    Negli anni Sessanta io ho cominciato a fare un lavoro che esisteva solo nella forma maschile ("ricercatore"), nel corso degli anni Ottanta siamo state attentissime a distinguere fra ricercatrici e ricercatori. La distinzione è particolmente irrilevante attualmente, come negli anni Sessanta, nessuno sapeva di che lavoro si trattasse, ancora più misterioso è oggi. Che cosa è politicamente corretto? Combattere perchè un numero crescente di ragazze e ragazzi possano realizzare meritocraticamente di lavorare in una professione che realizzi il loro interesse e il loro talento per la scienza o marcare il genere del termine in italiano? Per me va bene sia in un modo che nell'altro.

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