10/10/2016
Arcavacata di Rende (CS), Università della Calabria
Intervento in occasione dell’incontro ‘Donne, Mezzogiorno, Europa’ e
conferimento della Borsa di Studio assegnata grazie ai proventi del libro ‘Lo
sguardo lontano’ di Laura Boldrini
Buongiorno a tutte e a tutti.
Saluto innanzitutto il Rettore, professor Crisci; saluto e ringrazio il
centro "Women Studies, Milly Villa", che tanto si è adoperato per
mettere in piedi la borsa di studio con i proventi del mio libro "Lo
sguardo lontano". Un libro uscito quasi due anni fa, che ho voluto
scrivere a metà legislatura anche per raccontare il lavoro faticoso
dell'istituzione, di una politica che crede nei valori e che spesso non viene
raccontata dalle cronache.
E ringrazio in particolare la professoressa Vingelli e gli altri membri
della commissione esaminatrice, la professoressa Petrusewicz e il professor
Fiorita. Saluto anche tutti gli altri relatori e il direttore del dipartimento
di Scienze Politiche e Sociali, professor Raniolo. Oltre a tutte le autorità
presenti, fra le quali vedo anche diversi colleghi deputati. E naturalmente
saluto e faccio i miei complimenti a Alessia Tuselli, la giovane di Vibo
Valentia e dottoranda alla Federico II di Napoli, alla quale è stata assegnata
la borsa di studio, nell'abito del progetto "la violenza contro le donne:
educazione alla prevenzione e linguaggio di genere".
Naturalmente saluto e ringrazio voi ragazzi e ragazze. Vedo che siete tantissimi,
non solo universitari ma -mi dicono- anche giovani studenti delle superiori.
Questo mi fa davvero molto piacere.
Fatemi tornare sul tema della borsa di studio. Partiamo dal linguaggio: di
certo avrete notato che ormai sta diventando quasi normale dire ministra,
sindaca, ingegnera o architetta. Ma fino a pochissimo tempo fa non era affatto
così, c'erano resistenze culturali nel declinare al femminile determinate
professioni, soprattutto se riguardavano ruoli di vertice. Mentre ad esempio
non c'è mai stata alcuna resistenza a dire contadina, operaia o infermiera.
Questo cosa vuol dire? Che la resistenza c'è quando le donne svolgono ruoli più
alti nella scala sociale, ruoli da sempre ricoperti quasi esclusivamente dagli
uomini. Ma, poiché le donne si stanno facendo strada nella società, devono
poter mantenere il loro genere anche nelle posizioni di vertice, come ci dice
molto chiaramente l'Accademia della Crusca: ogni ruolo deve essere declinato
sia al maschile che al femminile, chi non lo fa commette un errore
grammaticale.
Anche alla Camera in questa legislatura c'è stata una piccola rivoluzione:
prima si diceva sempre deputato, ministro, il presidente ecc che si trattasse
di un uomo o di una donna. E io stessa spesso in aula venivo chiamata signor
presidente. Dopo aver ripreso il deputato che mi chiamava al maschile (quasi
sempre un uomo ) ho iniziato a chiamarlo signora deputata.... tra le risate
generali. A poco a poco non lo hanno più fatto.
Ma anche negli atti della Camera, grazie ad una circolare emessa sua mia
richiesta dalla segreteria generale, adesso per la prima volta è entrato il
genere femminile.
In molti mi hanno chiesto perché ho scelto proprio un'università del Sud,
anzi un'università calabrese, per devolvere la borsa di studio. La mia risposta
è che i dati parlano chiaro: è al sud, senza dubbio, che assistiamo a drastiche
flessioni, in termini di numero di immatricolati e di finanziamenti pubblici.
Ho voluto quindi dare un segnale di attenzione a questo territorio. E' da qui,
dal Mezzogiorno e da questa regione in particolare, che secondo la Svimez parte
il più alto numero di giovani che non vi fanno ritorno. Questa perdita
definitiva di capitale umano costituisce un ulteriore impoverimento per il Sud:
meno capitale umano, meno talenti, meno ripresa.
Fanno male ad esempio le percentuali di Almalaurea (il consorzio
interuniversitario a cui aderiscono 73 atenei italiani e il Ministero
dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca e che ogni anno produce un
rapporto sullo stato delle Università italiane - ndr): 30% di iscritti in meno
proprio al sud dal 2003 al 2015. Appena il 3% in meno al Nord.
Ma devono far riflettere anche i dati più recenti, relativi al 2015, di
Eurostat: in Italia solo il 17,6% della popolazione ha un'istruzione universitaria,
al sud appena il 14,9, a fronte del 30% della media europea.
Questi e molti altri dati su quello che il professor Gianfranco Viesti
definisce il "declino" delle Università, mi hanno spinta a venire
qui. Ad accendere un riflettore sull'Università del meridione e della Calabria
in particolare.
Sono infatti convinta che non può funzionare un'Italia a due velocità: un
nord produttivo ed economicamente più forte e un sud debole e disagiato, con
fasce di povertà assoluta che superano il 10%. Anche perché, gli studi
dimostrano, che la crescita del Sud vuol dire crescita per l'intero Paese.
Dunque il Mezzogiorno deve tornare a far parte dell'agenda politica dei governi
nazionali.
Allo stesso tempo però ritengo che le classi dirigenti del Sud debbano
sfruttare al meglio le risorse di cui dispongono. E mi riferisco soprattutto ai
fondi strutturali europei: perché è inaccettabile che in tempo di crisi questi
fondi non vengano spesi o vengano spesi male, senza un vantaggio concreto sulla
qualità della vita delle persone.
Spenderli bene vuol dire anche far capire ai cittadini il valore aggiunto
dell'essere europei. Perché se oggi noi possiamo riqualificare i centri
storici, continuare ad avere colture tradizionali, non vivere in città troppo
inquinate, mangiare cibi controllati e non tossici è perché rispondiamo ad una
serie di regole europee, mirate a tutelare il patrimonio culturale, le
tradizioni e la salute delle persone. Anche questa è Europa, non solo quella
che sicuramente non ci piace. Quella delle misure di austerità che non ci hanno
consentito in questi anni di crescere e hanno provocato perdite di posti di
lavoro e crescenti diseguaglianze.
Sono di pochi giorni fa i dati della Fondazione Migrantes: nell'ultimo anno
oltre 107mila italiani sono andati all'estero per studio o per lavoro, quasi la
metà dei quali sono giovani. E la stima è parziale perché basata esclusivamente
sugli iscritti all'Aire, l'anagrafe degli italiani residenti all'estero.
Le statistiche dai singoli stati Ue dicono ben altro: in Germania, ad
esempio, si conta un numero di italiani quattro volte superiore rispetto a
quello riportato dall'Aire. Non solo: è emerso anche che, a differenza del
passato, non si lascia l'Italia solo per una questione di bisogno economico :
si va via anche per riuscire a fare carriera.
Ed è proprio questa la tendenza che va invertita. Deve essere possibile fare
carriera anche Italia, anche al Sud. In altre parole si tratta di costruire le
condizioni per cui l'andare via o il tornare siano sempre frutto di una libera
scelta.
C'è poi un altro aspetto importante, anzi fondamentale, per chi voglia
affrontare una moderna questione meridionale: la condizione femminile al sud.
Ecco perché ho voluto che le donne fossero al centro della borsa di studio.
Il primo dato che balza agli occhi, prima ancora dei dati sulla violenza di
genere - purtroppo uniformi sul territorio nazionale - è quello relativo
all'occupazione. Al Meridione lavora appena il 32% delle donne. Praticamente la
metà della media europea che è del 60%.
Altissima, poi, la percentuale dei cosiddetti Neet (not in education,
employment or training). Al Sud resta a casa - senza studiare, senza lavorare,
senza frequentare corsi di formazione - una giovane donna su tre.
Una situazione allarmante, con molte ricadute inclusa anche la violenza di
genere: sappiamo bene che uno dei canali per uscire dalla spirale della
violenza contro le donne è proprio l'indipendenza economica. Una donna che non
lavora è meno libera di lasciare il contesto in cui la violenza si è sviluppata.
Soprattutto se sul suo territorio non ci sono le case rifugio o i centri
antiviolenza.
So benissimo che Cosenza in questo ambito è stata quasi una pioniera con
strutture importanti come il centro Roberta Lanzino. Così come conosco bene le
difficoltà che i centri della regione stanno attraversando per la mancanza di
fondi, spesso stanziati ma non arrivati a destinazione a causa di un poco
efficiente sistema di ripartizione. La ministra Boschi, in audizione alla
Camera proprio una settimana fa -nella commissione Jo Cox contro il discorso
d'odio e le discriminazioni- ha spiegato che sta lavorando a ridefinire
l'intesa con gli enti locali perché le risorse vengano meglio distribuite.
Ma qui in Calabria avete anche una legge regionale sui centri antiviolenza e
le case rifugio, che è addirittura del 2007, cioè ben prima della Convenzione
di Istanbul - approvata dal Parlamento in questa legislatura- pietra miliare
contro la violenza di genere. Riuscire a finanziarla, tra le mille difficoltà
di questa terra che certo non ignoro, sarebbe un segnale davvero importante.
D'altra parte non possiamo dire alle donne "denunciate!" se poi le
lasciamo sole, senza reti di salvataggio.
Penso, ad esempio, alla solitudine della ragazzina di Melito, che ha subito
per anni la violenza del branco in assoluto silenzio. In quel caso un silenzio
familiare innanzitutto, dovuto anche alla paura di denunciare il figlio di una
potente famiglia di 'ndrangheta.
Per questo ho accolto con convinzione l'invito del Presidente Oliverio ad
andare alla manifestazione che si terrà proprio lì, il prossimo 21 ottobre.
Perché è un dovere delle istituzioni esserci, manifestare vicinanza e
solidarietà alle vittime, e dire no all'indifferenza.
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